III. La presenza dell’inconscio negli interstizi della pittura di De Francesco
di Basilio Reale
Mai come di fronte alle opere di Francesco De Francesco mi è capitato di avere la percezione di qualcosa che mi era nota da tempo senza che mai ne avessi avuto consapevolezza. Esse mi appaiono infatti - sia nella loro felicità espressiva sia nelle loro rare opacità – il risultato di una passione forte e viva per la pittura di cui l’autore è sempre stato cosciente, ma rimasta a lungo invisibile agli altri, come una miccia che proceda sotto traccia. Il lungo avanzare sotterraneo della passione, da un lato a verosimilmente ritardato la definizione del mondo dell’artista e la sua rappresentazione, dall’altro l’ha reso più ricco e complesso, nutrendo con naturalezza di cultura visiva di prima mano, sedimentata nell’ascolto dei classici e nell’abitudine alla riflessione e al silenzio, modalità queste indispensabili ad ogni atto creativo che ambisca a sottrarsi alle mode e anche alla fretta del nostro tempo. Ne è nata una ricerca singolare, accostabile per comodità a certi esiti surrealisti e alle atmosfere nobili della pittura metafisica. Le tele insolite, davanti ai nostri occhi, ci vengono incontro come creature misteriose, immerse nella luce dell’inconscio o sfiorate dalle sue ombre. Anche quelle di impianto realistico, o le rappresentazioni di contenuti tecnico scientifici, o ancora le stranianti contaminazioni di racconti mitologici: tutte le opere di De Francesco, si ricostruiscono e si ricordano per l’inquietudine da cui sono attraversate. Per quel brivido che ne raggela quasi sempre la superficie, riproponendosi ogni volta come la sigla identificativa dell’artista.