IV. True Stories

di Enrico De

Tra memoria e desiderio, verità e illusione, l’opera di De Francesco si dispiega quale traccia di ininterrotti scavi nella mente, un rovistare feroce nei sotterranei della psiche che traduce la pittura in rebus, il quadro in crittogramma. Nel quotidiano esercizio dell’introspezione, intrecciando il filo dei ricordi con la fitta trama dei sogni, l’arte del dipingere mina, con i suoi gesti lenti e meticolosi, il paziente lavoro della memoria che insegue se stessa, le sue verità, i suoi lapsus, i suoi fantasmi. In questa ottica lucida e capziosa la pittura rovescia i suoi obbiettivi nella certificazione di quotidiane emersioni dai bassifondi dell’io, di ripetuti sondaggi nell’inconscio dove tempo e spazio, realtà e immaginazione si intersecano generando teorie di inquietanti fotogrammi, grovigli indecifrabili di senso. In quanto pratica di autoriflessione e di analisi del sé la pittura celebra le sue più antiche inclinazioni volgendo in racconto l’iperrealtà della visione e trascrivendo in immagine i labirinti più scoscesi del desiderio. Se la messa in scena è modellata sugli archetipi figurativi e linguistici della tradizione metafisico-surrealista, da De Chirico a Dali, da Magritte a Delvaux (con quel poco o tanto di teatralizzazione dei propri individuali fantasmi), le trame narrative evocano situazioni assolutamente peculiari, che intrecciano l’assolato paesaggio siciliano con le icone più enigmatiche (e amate) della storia dell’arte, le più remote “stanze” e i flash-back del proprio vissuto con gli eroi e le stars della letteratura, del melodramma e del cinema contemporaneo. Come dire: il sogno del passato nel pieno e traboccante del presente. Colta e raffinata, la pittura di De Francesco ridonda di simbologie segrete e complesse, delibate, secondo la migliore tradizione surrealista, con uno stile miracolosamente lucido e preciso (per li rami fiammingo e addirittura antonelliano), che non è certo fine a se stesso bensì in stretta relazione col lavoro di lenta “messa a fuoco” degli strati più oscuri e remoti della coscienza.In un ripensamento della classicità che appare analogo a quello del postmoderno in architettura e in linea con le ricerche figurative post anni Ottanta, dalla Transavanguardia all’Anacronismo all’Ipermanierismo, la tradizione della storia dell’arte (ma anche quella degli ex-voto popolari e dei cantastorie) non è semplicemente attraversata ma recuperata e prelevata in un rapporto di assoluta continuità. Ciò accade sia attraverso la citazione o la reminiscenza sia tramite una figurazione ricca di venature ironiche e surreali in cui “prelievi” e archetipi funzionano come autentici “ready-made” pittorici, laddove il ricordo si confonde col mito e la memoria con l’emozione e la nostalgia.